In quarta liceo, affrontai Virgilio in letteratura Latina. Tradussi alcuni pezzi sparsi dell'Eneide, in parte in esametri barbari (quindi versi in Italiano col ritmo dell'esametro), e in parte in endecasillabi. Più avanti nella quarta incontrai anche Orazio, e anche di lui tradussi alcuni componimenti. Vediamo di elencare e datare, per quanto possibile, il tutto.
- Cominciamo dal proemio dell'Eneide. Questa pare l'ultima che ho fatto di Virgilio, infatti un indice di traduzioni poetiche creato l'11/1/11 alle 20:40 e modificato il 22/1/11 alle 18:30 la segnala come "facienda", "da fare". In effetti un file del 31/1/11, creato alle 18:20 e modificato alle 18:24, ne contiene la storia, e la data al 22-23-25/1/11. Quasi tutte le modifiche dalla versione originale alla finale sono fatte appena dopo aver scritto i versi modificati, ad eccezione dell'annullato «ricorda i perché / le cause» del v. 8, fatto dopo aver composto «Per pïetà uomo insigne» e «forzò» di versi successivi, e delle modifiche «Per che lamenti regina d’Olimpo a cotanto soffrire» -> «Per che lamenti regina d’i dèi a cotanto soffrire» -≥ «Per che dolor regina d’i dèi a cotanto soffrire», verso che poi è cambiato ancora, non so quando. Anche la modifica «passar per sì tante» -> «passare sì tante» non è databile al momento. Dopodiché non c'è nessuna ragione di quel -ne in Giunsene/Vennene, quindi alle 15:38 del 23/5/24 lo elimino. Lo stesso giorno alle 15:40 cambio «Giuno forzò: sì grandi nel ciel per l’alme son l’ire?» in «[…]: sì grandi ne' cieli per l'alme son l'ire?», e implementando la modifica all'1:46 del 25/5 mi vien da cambiare in «così grandi ne' cieli per l'alme son l'ire?».
- Poi abbiamo un singolo verso tradotto come esametro barbaro. Trattasi di Aen. I v. 33. Molto probabilmente l'ho fatta, questa traduzione, appena ho beccato il verso a scuola. Ho un file che contiene quel verso che è stato modificato per l'ultima volta il 19/10/10 alle 16:40 (sono appunti al testo), quindi presumo che la traduzione risalga ad un intorno di quella data. Comunque, tutte le traduzioni di Virgilio sono elencate in un "index versionum poeticarum" (indice delle traduzioni poetiche) del 15/1/11 alle 13:09, e l'unica segnata come "facienda" (da fare) è il proemio, quindi entro il 15/1 le altre erano tutt'e due fatte. In effetti questa è inclusa per intero nell'index del 15/1. Il manoscritto si trova su un foglio scocciato al quaderno tra gli appunti del 13 e quelli del 20/10.
- Infine (per Virgilio) abbiamo alcuni pensieri di Didone (Aen. IV 15-19) tradotti in endecasillabi. 5 versi in latino, 6 in Italiano, motivo per cui ci sarà una riga bianca nel latino. In un file datato 9/11/10 21:02 si trova un lungo brano latino che contiene questi versi, con la traduzione sotto posta accanto. Gli appunti su questi versi sono del 20/10, quindi la traduzione risale a questo intervallo di tempo. In effetti ci sono appunti datati 27/10 in cima al manoscritto, ritrovato nel quaderno di virgilio, quindi supporrei che questa risalisse a tra il 20 e il 27. Il manoscritto peraltro mostra varie possibilità alternative. La versione Blog prende quasi sempre le prime alternative pensate (o quelle scritte in cima al "menù di scelta"), mentre prende l'ultima per l'ultimo verso. Nella versione Alternativa do le altre opzioni. L'ultimo verso, in verità, ha tipo 5 opzioni, che sono «Ceder potrei a questa sola colpa», «Ceder potrei a questo sol peccato», «Ceder potrei soltanto a questa colpa», «Ceder potrei a questa unica colpa», e «Ceder potrei a quest'unica colpa».
- Passando a Orazio, abbiamo la traduzione in esametri barbari della lettera a Celso Albinovano. Stando al post vecchio, e presumibilmente al file delle traduzioni di altrui poesie, questa risale al 6-7/4/2011. Ho ritrovato il taccuino di poesie mie dove infilavo qualche manoscritto di traduzione, come quello di questa indicata come «6/4 in lct», quindi come fatta a letto la notte tra il 6 e il 7/4, fino al v. 11, poi «postridie mane», la mattina seguente, il v. 13, e «dum de Hist Cal int», mentre viene interrogato di storia Calò, i vv. 12 e 14, e «Inde», poi, il resto, salvo il v. 7 che manca. Rispetto alla versione sotto ci sono le seguenti differenze:
- «o bruciato gl'olivi 'l calore» al v. 6, con «o gl'ulivi 'l calore abbia morso» di seguito, indicata come «minus placet» (mi piace di meno);
- Come detto sopra, il v. 7 manca del tutto;
- «men forte che 'n tutto 'l mio corpo» al v. 8, trasformato poi nella versione sotto sempre sul taccuino;
- «Niente voglio sentire né apprendere, che mi guarisca» al v. 9, con la versione del blog di seguito;
- «m'arrabbïo coi miei amici» al v. 10 come cambiamento rispetto all'originale che è come sotto, cambiamento indicato come "(-bïo minus placet" e conseguentemente annullato;
- vecchiaia al v. 11, col "vecchiezza" di sotto indicato come cambiamento;
- Sempre al v. 11, «Poi che mi cercan cacciar», cambiamento del 7/7/22, cfr. sotto;
- «Ciò che fa male io seguo …» come falsa partenza del v. 12;
- Il v. 13 manca del tutto;
- "come sta" e "incontra" ai vv. 14 e 15 risp., strani indicativi coordinati col congiuntivo "amministri", errore che il tacuinum non corregge;
- "poi" alla fine del v. 16;
- "sue" al v. 17;
- Un "così io" iniziale sovrascritto da un "così ti" al v. 18.
- Licinio fu iniziata il 7, stando sia al blog che al taccuino di poesie di cui sopra. Per la precisione, il t.poem. dice che la prima strofa, esattamente come sotto, risale al 7/4 "P. test en extus solus" (dopo la verifica di inglese fuori [dall'aula] da solo). Poi abbiamo il quaderno di Orazio stesso, al quale rimanda anche il t.poem. col suo «Vide A.d. VII Id. Apr. in q. Hor», cioè «Vedi 7/4 nel quaderno di Orazio, e che, nel 7/4, dopo aver riportato il v.4, riporta la seconda strofa, con la variante «Lungi sta, sicuro, dallo squallore / Di cadente casa, e da invidiabil / Ricca magione / Con misura». Il manoscritto della versione finale (salvo la variante «Talvolta con cetra sveglia», e quelle «Nel favor del vento raccoglierai / Le vele gonfie» e «Nel favor del vento trarrai le vele / Troppo gonfiate») si trova tra il 14/4 e il 28/4, su una stampa delle due strofe con quella variante appena detta. Per entrambe posso garantire che entro il 25/5/11 alle 17:43 erano complete, Celso Albinovano come sotto salvo i congiuntivi "stia" e "incontri" che sono indicativi, e Licinio come sotto tranne "monti sommo / Prima" invece di "monti sommi / Primi" e "ti va ma" invece di "ti va mal".
Tutto ciò riguarda la versione Blog-originale, perché poi il 14/10/24 alle 16:24-16:30 ho fatto un po' di migliorie che portano alla versione finale. - Quanto a Leuconoe, il blog diceva «non posso precisarla perché ho dei vaghi ricordi che la associatno a cose distanti nel tempo, precisamente: 1. Una mia "poesia" del 28/5/11; 2. Una traduzione di Donne del 28/4/11; 3. Un'altra traduzione della stessa poesia di Donne del 23-24/3/11». Il file del 25/5 di cui sopra riporta la versione sotto, salvo cannare «da'» che diventa «dà». È saltato poi fuori un altro file, stranamente datato 23/3/11 18:00, che data la traduzione di Leuconoe al 24/5. Riporto qui il contenuto del file in merito: «Tu non chieder (bestemmia è saperlo=>da sapere) / Qual fine a me, a te gli dei han dato, / Leuconoe, ’nterrogare non volere / Quello ch’a => Quanto a Babilonia han calcolato. / Quant’è meglio accettare checché viene! / Sia che più inverni=>verni c’abbia assegnato / Giove, o questo com’ultimo, che tiene / Contro i scogli ’l Tirreno affaticato: / Alla tua vita dà sapore, ’l vino / Filtra, e, ché la nostra vita è breve, / Lontana speme chiudici. Persino / Mentre parliam, sarà fuggito a=>in breve / Il tempo ostile: cogli ognor l’istante, / Quanto men puoi t’affida al più avante», praticamente la versione sotto con qualche cambiamento nel mentre che scrivevo. Una mail del 25/5/11 alle 16:19, con oggetto «traduzione Carpe Diem», riporta essenzialmente la stessa storia, datando il tutto a «24/5 vespere [bisciolina]19-19:30» (24/5 di sera alle ~19-19:30), con le seguenti note:
- Riporta i cambiamenti dei vv. 4 e 6 come versioni alternative;
- Riporta il v. 2 con «a te, a me» anziché «a me, a te», presumo che il cambiamento sia stato fatto per rispecchiare l'ordine dei pronomi in Latino;
- Il "com'ultimo" del v. 7 non ha l'elisione: "come ultimo"; in effetti compare di sotto;
- Aggiunge un cambiamento all'ultimo verso: «His scriptis computatro in pausa ab Autocad 25/5 cogito mutare: Quanto men puoi t'affida a quel più avante» (cioè "scritte queste cose al computer in una pausa da Autocad il 25/5 penso di cambiare"); ecco dunque da dove sbuca quella versione, che si ritrova sotto.
- accettare checché viene -> accettare quel/ciò che viene;
- Sia che più verni ci abbia assegnato -> Sia che ci abbia più verni assegnato -> Sia che più verni a noi abbia assegnato.
Proemio
Arma virumque cano, Troiae qui primus ab oris Italiam fato profugus Laviniaque venit Litora, multum ille et terris iactatus et alto Vi superum, saevae memorem Iunonis ob iram, Multa quoque et bello passus, dum conderet urbem 5 Inferretque deos Latio; genus unde Latinum Albanique patres atque altae moenia Romae. Musa, mihi causas memora, quo numine laeso Quidve dolens regina deum tot volvere casus Insignem pietate virum, tot adire labores 10 Impulerit. Tantaene animis caelestibus irae? |
L’armi e l'eroë io canto, che primo da’ liti di Troia, Profugo per destino -> per il Fato, all’Italia e alle coste Lavinie Vennene, molto per terra e per mare sbattuto da forze Degli dei, e da memore ira di Giuno crudele, Molto soffrì anche in guerra finché egli fondasse cittade E gli deï portasse in Lazio, onde stirpe Latina Ed i padri Albani, ed alte le mura di Roma. Musa a me le cause ricorda: per qual nume offeso, Per che lamenti regina d’Olimpo a cotanto soffrire Per pietà uomo insigne, a passar per sì tante avventure Giuno forzò: sì grandi nel ciel per gl'animi l’ire? |
Arma virumque cano, Troiae qui primus ab oris Italiam fato profugus Laviniaque venit Litora, multum ille et terris iactatus et alto Vi superum, saevae memorem Iunonis ob iram, Multa quoque et bello passus, dum conderet urbem 5 Inferretque deos Latio; genus unde Latinum Albanique patres atque altae moenia Romae. Musa, mihi causas memora, quo numine laeso Quidve dolens regina deum tot volvere casus Insignem pietate virum, tot adire labores 10 Impulerit. Tantaene animis caelestibus irae? |
L’armi io canto e l’ero͞e che per primo da’ liti di Troia, Profugo reso dal Fato, all’Italia e alle coste Lavinie Giunse, molto per terra e per mare sbattuto da forze Degli dei, e da memore ira di Giuno crudele, Molto soffrì anche in guerra finché egli fondasse cittade E gli deï portasse in Lazio, onde stirpe Latina Ed i padri Albani, e d’alta Roma le mura. Musa a me le cause ricorda: per qual nume offeso, Per che dolor la regina d’Olimpo a cotanto soffrire Per pïetà uomo insigne a passare sì tante avventure Giuno forzò: così grandi ne' cieli per l’alme son l’ire? |
Verso sparso
Tantæ molis erat Romanam condere gentem! |
Tanto peso era loro fondare la gente Romana! |
Monologo interiore di Didone
Si mihi non animo fixum immotumque sederet 15 Ne cui me vinclo vellem sociare iugali, Postquam primus amor deceptam morte fefellit; Si non pertæsum thalami tædæque fuisset, Huic uni forsan potui succumbere culpæ. |
Se non avessi fisso e immoto 'n l'alma Di non unirmi ad alcun uomo in nozze Ché il primo amor con morte mi ha ingannata, Se il talamo e la fiaccola nuziale Non incontrasser presso me disgusto, Ceder potrei a questa sola colpa. |
Si mihi non animo fixum immotumque sederet 15 Ne cui me vinclo vellem sociare iugali, Postquam primus amor deceptam morte fefellit; Si non pertæsum thalami tædæque fuisset, Huic uni forsan potui succumbere culpæ. |
Se non avessi fisso e immoto in cuore Di non volermi unire a nullo in nozze Ché il primo amor con morte mi ha ingannata, Se il talamo e la fiaccola nuziale Non incontrasser dentro me disgusto, Ceder potrei a quest’unica colpa. |
Più avanti nella quarta incontrai anche Orazio. Di seguito le traduzioni in metrica barbara dell'epistola a Celso Albinovano e dell'ode a Licinio, nonché il sonetto che traduce il carpe diem.
Epistula VIII, ad Celsum Albinovanum
Celso gaudere et bene rem gerere Albinovano Musa rogata refer, comiti scribæque Neronis. Si quæret quid agam, dic multa et pulchra minantem Vivere nec recte nec suaviter, haud quia grando Contunderit vitis oleamve momorderit æstus, 5 Nec quia longinquis armentum ægrotet in agris, Sed quia mente minus validus quam corpore toto Nil audire velim, nil discere, quod levet aegrum, Fidis offendar medicis, irascar amicis, Cur me funesto properent arcere veterno, 10 Quæ nocuere sequar, fugiam quae profore credam, Romæ Tibur amem, ventosus Tibure Romam. Posthæc, ut valeat, quo pacto rem gerat et se, Ut placeat iuveni, percontare, utque cohorti. Si dicet “recte”, primum gaudere, subinde 15 Præceptum auriculis hoc instillare memento: “Ut tu fortunam, sic nos te, Celse, feremus”.
Hor., Ep., I 8
Carmen rursus X, ad Licinium Rectius vives, Licini, neque altum Semper urgendo neque, dum procellas Cautus horrescis, nimium premendo Litus iniquum. Auream quisquis mediocritatem Diligit, tutus caret obsoleti Sordibus tecti, caret invidenda Sobrius aula. Sæpius ventis agitatur ingens Pinus et celsæ graviore casu Decidunt turres feriuntque summos Fulgura montis. Sperat infestis, metuit secundis Alteram sortem bene præparatum Pectus; informis hiemes reducit Iuppiter, idem Submovet. Non, si male nunc, et olim Sic erit: quondam cithara tacentem Suscitat Musam neque semper arcum Tendit Apollo. Rebus angustis animosus atque Fortis appare; sapienter idem Contrahes vento nimium secundo Turgida vela.
Hor., Carm., II 10
Carmen XI, ad Leuconoen seu Carpe Diem Tu ne quæsieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi Finem di dederint, Leuconoë, nec Babylonios Temptaris numeros. [Ut melius, quidquid erit, pati, Seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam, Quæ nunc oppositis debilitat pumicibus mare Tyrrhenum: [sapias, vina liques, et spatio brevi Spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit invida Ætas: carpe diem, quam minimum credula postero.
Hor., Carm., I 11
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Epistola VIII, a Celso Albinovano Augura, Musa, ti prego, a Celso Albinovano, Scriba e compagno a Neron, di star bene e gestir bene il suo. Se chiede come mi va, di’ che, ben che m’imponga assai molte Buone azioni, non vivo né come a me piacerebbe Né come giusto sarebbe, ma non ché la grandine m’abbia Danno recato alle viti, o gl’ulivi ’l calor m’abbia morso, Né ch’un armento ammalato in pascoli lungi si sïa, Ma ché nella mia mente men sano che ’n tutto ’l mio corpo Niente voglio sentir, niente apprendere, che mi guarisca, Coi fidi medici m’iro, m’arrabbio coi miei amici Poi che mi cercan di toglier da torpida e morta vecchiezza, Seguo ciò che fa mal, ciò che credo giovarmi rifuggo, Voglio Tivoli a Roma, volubile, a Tivoli Roma. Chiedigli poi come stia, come sé amministri e gl’affari, Come le grazie del giovin e del süo seguito incontri. Se dice “va tutto bene”, dapprima rallegrati, e dopo Questo consiglio ricorda di mettere nelle su’ orecchie: “Sì come tu la tua sorte, così ti sopporterò, Celso”.
Orazio, Epistole, Libro I
Ode di nuovo decima, a Licinio
Meglio tu, Licinio, vivrai, all’alto Mar non sempre andando né, cautamente Tempestà temendo, premendo troppo L’ìnfida costa. Quelli ch’ama l’aurëa via di mezzo, Lungi tien, sicur, di cadente casa Lo squallore, l’astio di gran palazzo, Ben misurato. Agitan più spesso li venti un alto Pino, l’alte torri più gran fracasso Fan crollando, e ’l fulmine i monti sommi Primi ferisce. Ne’ mal tempi spera, ne’ buoni teme L’altra sorte un animo preparato Bene; Giove porta gl’inverni avversi, Ma poi lui stesso Toglieli. Se or ti va mal non sempre Sì sarà: talvolta sua cetra sveglia La tacente Musa, né sempre l’arco Tende Apollo. Nell’angustie bene ti mostra forte, Coraggioso pure; sapiente poi Le tue gonfie vele trarrai se ’l vento Troppo ti spinge.
Orazio, Odi, Libro II, 10
Ode di nuovo decima, a Licinio
Meglio tu, Licinio, vivrai, all’alto Mar non sempre andando né, cautamente Tempestà temendo, premendo troppo L’ìnfida costa. Quelli ch’ama l’aurëa via di mezzo, Lungi tien, sicur, di cadente casa Lo squallore, l’astio di gran palazzo, Ben misurato. Agitan più spesso li venti un alto Pino, l’alte torri più gran fracasso Fan crollando, e ’l fulmine i monti sommi Primi ferisce. Ne’ mal tempi spera, ne’ buoni teme L’altra sorte un animo preparato Bene; Giove porta gl’inverni avversi, Ma poi lui stesso Via li porta. Se or ti va mal, non sempre Male andrà: talvolta tacente Musa Con sua cetra sveglia, né tende Apollo Sempre il suo arco. Nell’angustie bene ti mostra forte, Coraggioso pure; sapiente poi Le tue gonfie vele trarrai se ’l vento Troppo ti spinge.
Orazio, Odi, Libro II, 10
Ode XI, a Leucònoe ovvero Carpe Diem Tu non chieder (bestemmia è da sapere) Qual fine a te, a me gli dei han dato, Leucònoe͜ , ’nterrogare non volere Quanto a Babilonia han calcolato. Quant’è meglio accettare quel ché viene! Sia che più verni a noi abbia assegnato Giove, o questo come ultimo, che tiene Contro i scogli ’l Tirreno affaticato: Alla tua vita da' sapore, ’l vino Filtra, e, ché la nostra vita è breve, Lontana speme chiudici. Persino Mentre parliam, sarà fuggito in breve Il tempo ostile: cogli ognor l’istante, Quanto men puoi t’affida a quel più avante.
Orazio, Odi, I 11
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