Saturday 8 February 2020

Ridi, sol mio

E oggi abbiamo una canzone… heh. Greca Antica? Italiana? Quelle sono le lingue in cui esiste, ma dire chi sia l'originale è complicato. Potrei definirla italiana in quanto scritta musicata ed armonizzata interamente in Italia. Probabilmente la prima versione completa era la Greca, però. Diamo un'occhiata alla storia di questa canzone, che vede l'intreccio della stesura del Greco e dell'Italiano, con puntate addirittura in Latino. Oh a proposito, questa è tutta opera mia: gli endecasillabi faleci greci, gli elegiaci ed i faleci delle puntate in Latino e pure in Spagnolo Tedesco e forse Francese, insomma di ogni proprio, la versione Italiana, le poesie con pezzi della canzone al loro interno. E pure musica e armonizzazione. 'Somma, un unicum su questo blog, almeno per ora. Tanto unicum che ha pure due versioni italiane: una in musica in endecasillabi rimati, l'altra non in musica ma sempre in endecasillabi rimati.
  • La storia si apre il 9/11/2010, data in cui «cogitans compono carmen», scrivo un sonetto mentre penso, e poi il giorno dopo completo i buchi della memoria, e la coda invece è del 16/2 seguente:

    Nel core mio com’un gran vuot’i’ sento
    Tal che mi pare quasi d’aver fame;
    E ’l cibo ch’il cuor mi faria contento,
    O cara vita mia, è che tu m’ame.

    T’amo, mia cara, e t’amo da gran tempo:
    Questo ti dico, questo ti dichiaro.
    Sì t’amo inver, che sempre, in ogni tempo,
    La mente mia tu hai, tesoro caro.

    E per quanto mi sforzi di bloccarti,
    I’ nulla ottengo, poiché tuo io sono.
    Quand’io ti vedo, i’ vorrei baciarti,

    Ma forse questo troppo grand’è un dono:
    Contento dunque fora d’abbracciarti,
    Ma no ’l richeggio, ché timido sono.

    Michel Gorini ’n dono
    Ti chiede ’l cuore tuo scrivendo questo:
    Fa che diletto grande i vegna presto.

    Eh beh, in terza liceo, sommerso da scuola siciliana e simili poesie ultra-arcaiche, e avendo in mente la Divina Commedia letta integralmente in seconda media, doveva per forza uscire un Italiano arcaico, no :)? Da questo poi deriveranno la quarta e quinta strofa, e la seconda metà della sesta.
  • Si continua poi il 23/11 con la seguente quartina, in duplice versione, dove finalmente compare il nome della destinataria:

    Domani alfine rivedrò Cristina
    Dopo ch’è stata sì a lungo malata.
    Incenderammi certo la corina,
    Ché tu m’hai grand’amanza generata.
    Domani alfin ti rivedrò Cristina
    Poi sei sì a lungo lungi da me stata.
    Incenderammi certo la corina,
    Ché tu m’hai grand’amanza generata.

    Notare "corina", con UNA n, che sta per "cuore". Anzi, c'è proprio la locuzione "incendere la corina", ripresa da Dolce coninzamento, del Notaro se non erro, dove la prima strofa finisce con «Quando m'apar davanti / Li dolzi suoi sembrianti / Mi 'ncendon la corina».
  • Proseguiamo poi il 4/12, quando mi viene l'idea di trasformare questa cosa in una canzone in distici elegiaci in Latino e poi musicarla e cantarla a scuola per cantare senza farmi capire (che timido :) ), e ne esce questo:

    Ō mĕă vītă, mĕō || īn cōrdĕ văcu͞um sci͞o ēssĕ
    Māgnūm, quōd sēnti͞o || ūt fămĕm ēx ănĭmō.
    Ēt fămĕm hānc || a͞ufērrĕ pŏtēst || cĭbŭs ūnŭs, ămātă,
    Īdēst, cāră mĭhī, || mē ŭt ămēs, quăm ămō.

    «Ex animo», alla fine del v. 2, è Catullo: «Atque id sincere || dicat et ex animo». 6/12, e tenendo in mente «O decus argolicum, || quin puppim flectis, Ulixes» come ritmo, e probabilmente un santo appena sentito a messa per la musica, musico i quattro versi. Peccato che poi, quando provo ad andare avanti, mi escono cesure diverse:

    Dīlēxī,|| mĕă vītă, ămōr, || lōngīssĭmŭm ǣvī
    Tē: dīcō hānc rēm || ēt tĭbĭ ātquĕ cănō.

    Questo il 29/12, e così tocca abbandonare il progetto, oppure cambiare melodia.
  • O forse no. Nel frattempo il 18/12 abbiamo un altro distico:

    Rīdē sōl, || tū cārĕ, sŏlūs || quī mī lŭmĕn āffērs
    Rīdĕăs ha͞ud mĭhi ĕnīm, || nūllă fĕlīcĭtăs ēst.

    E ancora le cesure sbagliate. Ma se cambiassi metro?
  • Detto fatto: il 26/12 inizio coi faleci latini. Ne scrivo 6, poi gli ultimi due li riformulo il 31/12:

    Īn mĕō, mĕă vītă, cōrdĕ sēnti͞o
    Ūt māgnūm văcŭūm fămēmquĕ māgnăm.
    Ātque ūnūs cĭbŭs hānc pŏtēst, ămōr mī̆,
    Nūnc a͞ufērrĕ fămēm: ŭtī me ămēs tū.
    Dīlēxi, mĕă vītă, lōngŭm ǣvŭm
    Tē: tĭbīquĕ cănōquĕ fōrquĕ hōccĕ,

    Tē ămō, mĕă vīta, ăiōquĕ hōccĕ
    Dēclārōquĕ, ĕt ǣvă lōnga ămāvī.
  • E a capodanno arriva anche la versione falecia del punto sopra:

    Rīdē, cārĕ, mĭhīquĕ lūmĕn āffē̆r
    Sīnē̆ quō mĭhĭ nūllă lǣtĭti͞ast nūnc.
  • Però a quanto pare, quel 31/12, c'era qualcosa che non mi piaceva della riformulazione, dive «æva» era plurale per ragioni metriche, ed ero passato al greco con la quarta strofa che vedete sotto, e numerose sue varianti poi scartate.
  • E, sempre a capodanno, abbiamo il ritornello, ma con νῦν κακὴ νύξ anziché νὺξ τάλαινα. Questo nuovo aggettivo è merito di Callimaco, più precisamente di questo epigramma, che suppongo mi sia arrivato come comparandum per il carme di Catullo «Dicebas quondam || solum te nosse Catullum», ed è una modifica del 3/1.
  • Il 4/1 arriva la versione non musicale del ritornello in Italiano.
  • Il 7 arriva la seguente traduzione di una precedente poesia, «Domani alfin ti rivedrò, Cristina», che poi sarà rimodellata per dare la terza strofa greca:

    Αὔριόν σε τέλος, φίλη, ὁρήσω,
    Οὕτ' ἐπεὶ σὺ μακρὸν μακρήν μ' ἀπῆσθα·
    Κῆρ ἐμὸν τότε ἅπτεταί γε δήπου
    ἐπεί μοι φιλίην μακρὴν δέδωκας.
  • Sempre il 3/1 era arrivata la quinta strofa, con «Ἐν τῷ νῷ ἐγ' ἔχω, ἐμὸν θεσαῦρον» in luogo dell'ultimo verso, la seguente versione dei primi due versi del punto precedente:

    Ἦμαρ τοῦτο μετὰ τρέπ’ εἴς σε ὦπας
    Ἐπεὶ τήλοθί μου μακρόν γ' ἀπῆσθα

    con "Dopo questo giorno" perché la parola per "domani" non la ricordavo, nonché quasi tutta l'ultima (nona) strofa, dove l'ultimo verso per ora recitava «Ὡς αὐτῷ ἔσεται …», e infine pure l'ottava strofa. Una notte molto produttiva, davvero. Eh sì, perché il tutto è stato composto e registrato con un lettore MP3 mentre mi rigiravo nel letto.
  • Da qualche parte tra il 10/1 e (presumibilmente) il 14/1 la canzone, affiancata alla traduzione non musicale che in realtà è l'originale, ha questo aspetto:

    Ἡμέρῃ γε τέλος σκοπῶ σε ταύτῃ,
    Οὕτ' ἐπεὶ σὺ μακρὸν μακρήν μ' ἀπῆσθα·
    Κῆρ ἐμὸν τότε ἅψεταί γε δήπου
    ἐπεί μοι φιλίην μακρὴν δέδωκας.

    Ἐπῳδός
    Γέλα θ', ἥλιέ μού, μοι δός τε φῶτα
    Ἀφ' ὧν μου βίος ἐστὶ νὺξ τάλαινα·
    Σὺ μούνη δύνασαι γὰρ ἐργάσασθαι
    Ταῦτ' ἢν σὴν φιλίην μοι ἐστραφῆαι

    Καρδίᾳ ἐν ἐμῇ μακρὸν γινώσκω
    Εἶναι, οὐδὲν ἔχον, καὶ πολλὰ πεινῶν·
    Ἐσθίειν δύναμίς θ' ἑνὸς δὲ μούνου
    Ἐκπλῆσαι τὸ μακρόν· με ὡς φιλήσαις.

    Ἐπῳδός

    Φιλῶ σ', ὦ φίλ' ἐμοῦ, χρόνον τε μακρὸν
    Φίλουν· τοῦτο λέγω τε σοὶ καί φημι.
    Ὧδεπερ φιλέω σε, ὥς σε αἰεὶ
    Ἐν τῷ νῷ ἐγ' ἔχω, ἐμὸν θεσαῦρον.

    Ἐπῳδός

    Εἰ ὁρῶ σε, φίλη, κυνεῖν σ' ἱμείρω,
    Ἴσως τοῦτο λίην μακρ' ἐστι δωρῆ δ'.
    Εὐδαίμων περιλαμβάνειν σε εἴην,
    Αἰτῶ τοῦτο δὲ οὔ· γάρ εἰμι δειλός.

    Ἐπῳδός

    Μῑχᾱὴλ Γορίνις φιλῶν σε ᾄδει
    Καὶ ἐν νῷ σε ἔχων ἀεί, χρόνου πᾶν.
    Εἰς τ' αὐτὸν φιλέειν καλεῖ σε νῦν γε,
    Ὡς αὐτῷ μεγαλώτατ' ἔσται τέρψις.
    Ed oggi alfin rivedo te, Cristina,
    Poi sei sì a lungo lungi da me stata.
    Incenderammi certo la corina,
    Ché tu m’hai grand’amanza generata.

    Rit.
    [Ridi, mio sol, e quella luce dammi
    Senza cui trista nott’è vita mia;
    Sola che puoi, deh, questa grazia fammi:
    Di me fa’ ciò che ’l cuore tuo disìa.]

    Nel core mio com’un gran vuot’i’ sento
    Tal che mi pare quasi d’aver fame;
    E ’l cibo ch’il cuor mi faria contento,
    O cara vita mia, è che tu m’ame.

    Rit.

    T’amo, mia cara, e t’amo da gran tempo:
    Questo ti dico, questo ti dichiaro.
    Sì t’amo inver, che sempre, in ogni tempo,
    La mente mia tu hai, tesoro caro.

    Rit.

    Quand’io ti vedo, i’ vorrei baciarti,
    Ma forse questo troppo grand’è un dono:
    Contento dunque fora d’abbracciarti,
    Ma no ’l richeggio, ché timido sono.

    Rit.

    Michele Gorini scrive, che ti ama
    Sí che sempr’a te pensa, ogni momento,
    Ed ad amarlo invitati e ti chiama,
    Ch’a lui ne fora gran dilettamento.

    Perché io abbia messo quelle quadre nel riportare questo nel mio corpus di poesie, non ne ho idea. Suppongo fosse per indicare che la traduzione era fatta apposta per quel contesto, dato che non appare prima. E invece no, l'ho trovata ora, è del 4/1. Il κἀείδω per il v. 2 della terza strofa (contando nella versione sopra, corrisponde alla quinta del testo completo) era già stato concepito, ma presumo ricomparirà per segnalare il cambio di idea. Alla stessa strofa, il v. 4 dovrà ricomparire per una modifica – ma si terrà il θεσαῦρον che dovrebbe essere l'inmetrico θησαυρέ, come ho appena scoperto il 26/1/20 abbozzando questo post. Con questo, guardando il testo completo, abbiamo il ritornello, quasi la terza strofa (che dovrà ricomparire per modifiche), la quarta, la quinta (di cui abbiamo appena discusso), e le ultime due. Mancano dunque le prime due, la sesta, e la settima.
  • Il 22/1 poi compongo il seguente sonetto in Tedesco, la cui traduzione Italiana, base delle prime due strofe, è del 22/3 (tranne la prima quartina del 18/3):

    Nun singen dir wird ich mein Liebeslied,
    Liebe Christine, denn ich bin doch dein.
    Mach zwischen uns ein Liebesbindeglied,
    Und lass mein Herz mal wieder glücklich sein.

    Weil wirklich ohne dir bin ich nur trauernd,
    Und meines Leben immer dunkel ist.
    An dich denk ich doch immer und andauernd
    Weil du nun ja mein Herz vollständig bist.

    O liebe mich, o schöne, liebe Dame,
    Denn ich seit langer Zeit hab’ dich geliebt,
    Und ohne dich auf ewig bin einsamer.

    Nun hoffnungslos bin ich in dich verliebt.
    O sei mit mir doch bitte nicht grausame,
    Gib mir dein Herz, das Trauern von mir schiebt.
    Or canterotti mia canzon d’Amor,
    Poiché son tüo, cara mia Cristina.
    Crea tra noi un vincolo d’Amor,
    E fa ch’ancor s’allegri mia corina.

    Ché sempre mesto senza te mi sento,
    E sempre color fosco ha vita mia.
    A te io penso sempre, ogni momento,
    Certo son che ’l mio cor tutto tu sia.

    Deh, amami, o cara, bella dama,
    Ché già da lungo tempo t’aggio amato,
    E solitudine mia vita ama.

    Perdutamente sono innamorato.
    Non si’ con me crudele (cosa grama):
    Dammi ’l tuo cuor, e ’l duol fia via gittato.

    Il «vincolo d'amore» arriva - pensate un po' - da un salmo delle lodi mattutine, che allora recitavo tutte le mattine, il qual salmo sapevo a memoria. C'è anche una traduzione inglese di questo, risalente al 4/2.
  • Tra il 26 ed il 27/1, nel frattempo, c'è stato questo sonetto spagnolo, a cui credo si sia ispirata la settima strofa:

    Pararé alguna vez pensar en ti,
    Querida, mi Cristina, mi Amor?
    Y alguna vez se finirá el dolor
    Que viene a mi por el vivir sin ti?

    De cierto no se finirá jamás
    Ese dolor, ni esa gran tristeza,
    Si me atormentarás ya la cabeza:
    Solo se pasará si me amarás.

    Por ese ámame, cara: yo te quiero,
    Y tengo que pensar en ti belleza
    Siempre, también, Amor, si no lo quiero.

    Te tengo en corazón de verdadero.
    Ámame, cara, déme fortaleza
    De reducir esa tristeza a cero.
  • Il 27/1 poi abbiamo questo sonetto in duplice forma, due versi del quale ispireranno la seconda metà della settima strofa:

    L’Amore mio è come foco ardente
    Che tutto ’l core m’empie, scalda e coce,
    e a te sempre riporta la mia mente
    Sì come un fiume l’acqua alla sua foce.

    In alcun modo non si può fermare
    Questo mi’ Amor, che cocemi si forte.
    E sempre a te lui facemi pensare,
    Ched eo non posso chiuderti le porte.

    Cristina mia, tu mi sei sempre in testa,
    Anche quand’io non voglio a te pensare,
    Ché tu, mia cara, m’hai in tua podesta
    E sempre faci a te mia mente andare.

    Ora la condizion in cui io sono
    Tu sai: del tuo cor fammi ’l grande dono!
    L’Amore mio è come foco ardente
    Che tutto ’l core m’empie, scalda e coce,
    e a te sempre riporta la mia mente
    Sì come un fiume l’acqua alla sua foce.

    In alcun modo non si può fermare
    Questo mi’ Amor, che cocemi si forte.
    E sempre a te lui facemi pensare,
    Ched eo non posso chiuderti le porte.

    Cristina mia, tu mi sei sempre in testa,
    Anche quand’io non voglio a te pensare,
    Ché sempre a te mia mente faci andare.

    Di certo mi serìa dì di gran festa
    Se ’l core tuo mi potessi dare:
    Isbaldirei, potendo ciò pensare.
  • Giusto per "vantarmi" :), tra 1 e 3/3 arriva una versione di alcune strofe in strofe saffiche latine, con le ultime due strofe pressoché tradotte da "'O surdato 'nnamurato":

    Corde in meo, mea vita, senti͞o
    Ut magnum vacu͞umque famemque magnam,
    Atqu’unus potest famem hanc auferre
    Esus: ames me

    Te amo, atqu’ævum amai te longum:
    Hoc tibi dicoque canensque aio.
    Sic amo t’ut semper et ævum omne
    Mente me’insis.

    Impedire cum t’ego temptem omni
    Tempor’, haud ull’obtineo: tuus sum;
    Nec puto me umquam abiturus de
    Hoc me’amore.

    Ut super te, d’hoc me’amore certus
    Sumque, sique corde meo long’absis,
    Statim advolo cogitatione,
    Vita, tib’ipsi.

    Omne tempus te prope m’esse cupi͞o.
    Null’ali͞ud spero, quam amant’amatam,
    Vita, te meis brachiis tenere
    Mi fore posse.
  • Il 3/4 parte la traduzione del sonetto tedesco in Greco, fermandosi alle quartine, che dànno le prime due strofe sotto.
  • Da qualche parte tra il 4 e il 5/4, la terza strofa finalmente si becca il primo verso come sotto, salvo lo scambio fra φίλη e σκοπῶ. Tale scambio verrà operato il 9/4, portando finalmente il verso alla sua forma finale. Ma la seconda metà ancora deve raggiungere la forma finale.
  • L'8/4 arrivano due faleci latini, base per la prima metà della sesta strofa:

    Mane mente me’ ines, car’ amica,
    Meridieque et vesper’ atque noctu.
  • Il 12/4 traduco i due faleci del punto precedente in Greco, e completo una quartina traducendo due versi del primo sonetto. Così abbiamo le sesta strofa.
  • Sempre il 12/4 abbiamo una grande revisione di poesie. Con questa, vediamo dove siamo arrivati: Prime due strofe e ritornello c'erano già; la terza arriva alla forma finale; la quarta era già finita; la quinta arriva alla forma finale, e anche la sesta; la settima ancora non esiste; l'ottava arriva alla forma finale, e la nona ed ultima già c'era. Quanto alla traduzione parziale non in musica, la sua prima strofa cambia il terzo verso da «Incenderammi certo la corina» a «M’incende ciò di certo la corina». Inoltre, le saffiche ispirate da 'O surdato 'nnamurato cambiano uno dei versi in «Cōgĭtātĭōnĕ stătīm vŏlō, me͞a» per ragioni squisitamente metriche.
  • Il 17/4, per completezza, traduco in Greco il distico elegiaco Latino da cui "Ridi sol mio":

    Ὦlφίλε ἥλιέ μου, γέλα', μοῦνέ τέ μοί γε διδοῦς φῶς·
    Μ' εἰ γὰρ ἐμοὶ γελάῃς, οὐδένα ὄλβον ἔχω.
  • Il 7/5 abbiamo la versione italiana non musicale della sesta strofa.
  • Il 9/5 finalmente compare la settima strofa, già in versione musicale, in Italiano.
  • E un po' il 15/5 e un po' il 26/5 finalmente arriva la settima strofa, e anche la traduzione musicale, con «Or ti canterò mia canzon d’Amore» come primo verso della prima strofa, «Vita mia, e cioè che tu mi ame» come quarto della quarta, e ancora «Sola ch’puoi, tu, deh, questa grazia fammi» nel ritornello. Questi ultimi cambiamenti saranno conseguenza di una revisione operata su consiglio della mia madrina da qualche parte del 2010, o almeno credo del 2010, comunque al liceo, sono abbastanza sicuro.
  • La melodia risale a tra il 24/12/2009 e il 6/1/10. L'armonizzazione inizia con tenori 1 e 2 il 19/5/2011 per la prima metà del ritornello, prosegue con i bassi del ritornello il 22/5, e il ritornello finisce il 27/5 – e si noti che il cambiamento del «Sola ch' puoi» è nello spartito del 27/5 –, mentre per le strofe stiamo tra 25 e 27/5.
E dopo tutto ciò, con il Greco in testa e sotto la traduzione musicale a sinistra e quella non musicale a destra, vediamo 'sta canzone!



Νῦν ᾄσω φιλίης ἐμὴν ἀοιδήν,
Ὦ μου Χρί, ὅτ’ ἐγὼ τεός γέ εἰμι.
Ζὰ φιλίαν δέε νῦν, δέω σε, ἡμᾶς,
Καὶ χαίρειν πάλιν, ὦ, τ’ ἐμὸν ποεῖ κῆρ.

Ἐπῳδός
Γέλα θ’, ἥλιέ μού, μοι δός τε φῶτα
Ἀφ' ὧν μου βίος ἐστὶ νὺξ τάλαινα·
Σὺ μούνη δύνασαι γὰρ ἐργάσασθαι
Ταῦτ' ἢν σὴν φιλίην μοι ἐστραφῆαι.

’πεὶ αἰεί σου ἄνευ τάλας γέ εἰμι,
Καἰεί μου βίος ἐστὶ νὺξ ἄφωτος.
Αἰεὶ καὶ συνεχῶς ἔχω σε ἐν νᾦ,
Ὡς κῆρ πᾶν τό γέ μου σὺ εἶ, φίλη μου.

Ἐπῳδός

Χριστίνη, νυ τέλος, φίλη, σκοπῶ σε,
Οὕτ’ ἐπεὶ σὺ μακρὸν μακρήν μ’ ἀπῆσθα·
Ἅπτεταί νυ ἐμὸν τὸ κῆρ γε δήπου
ἐπεί μοι φιλίην μακρὴν πέφυκας.

Ἐπῳδός

Καρδίᾳ ἐν ἐμῇ μακρὸν γινώσκω
Εἶναι, οὐδὲν ἔχον, καὶ πολλὰ πεινῶν·
Ἐσθίειν δύναμίς θ' ἑνὸς δὲ μούνου
Ἐκπλῆσαι τὸ μακρόν· με ὡς φιλήσαις.

Ἐπῳδός

Φιλῶ σ', ὦ φίλ' ἐμοῦ, χρόνον τε μακρὸν
Φίλουν· τοῦτο λέγω τε σοὶ κἀείδω.
Ὧδεπερ φιλέω σε, ὥς ἀεί γε
Ἐμὸν νοῦν σὺ ἔχεις, ἐμὸν θεσαῦρον

Ἐπῳδός

Πρῲ ἐν νῷ σε ἔχω, φίλη γε ’δεῖα,
Ἡμέρῃ μέσ' ἔθ', ἑσπέρῃ τε νυκτί τ’.
Παύειν κεἰ συνεχῶς γε δι͞απονῶν σε,
Οὐδὲν κληρόομαι δ’, ἐπ’ εἰμὶ σός γε.

Ἐπῳδός

Ἐν τῷ νῷ πότε οὔ, φίλη, σε ἕξω;
Κοὐ στένειν πότε σούνεκεν δυνήσω
Νομίζ' οὔποτε, ὡς ἐπικρατῇ μου,
Κεἰσβαίνειν σε ἀεὶ τ' ἐμὸν ποεῖς νοῦν.

Ἐπῳδός

Εἰ ὁρῶ σε, φίλη, κῠνεῖν σε 'μείρω,
Ἴσως τοῦτο λίην μακρ' ἐστι δωρῆ δ'.
Εὐδαίμων περιλαμβάνειν σε εἴην,
Αἰτῶ τοῦτο δὲ οὔ· γάρ εἰμι δειλός.

Ἐπῳδός

Μῑχᾱὴλ Γορίνις φιλῶν σε ᾄδει
Καὶ ἐν νῷ σε ἔχων ἀεί, χρόνου πᾶν.
Εἰς τ' αὐτὸν φιλέειν καλεῖ σε νῦν γε,
Ὡς αὐτῷ μεγαλώτατ' ἔσται τέρψις.

Ἐπῳδός



Or ti canto la mia canzon d’Amore,
Poiché tuo sono, cara mia Cristina.
Tra noi crea un vincolo d’Amore,
Fa che ancora s’allegri mia corina.

Rit.
Ridi, sol mio, e quella luce dammi
Senza cui trista nott’è vita mia;
Puoi tu sola; deh, questa grazia fammi:
Fa’ di me ciò che ’l cuore tuo disìa.

Senza te sempre mesto io mi sento,
Sempre fosco colore ha vita mia.
A te penso io sempre, ogni momento,
Certo son che ’l mio cor tutto tu sia.

Rit.

Oggi alfine rivedo te, Cristina,
Poi sì a lungo se’ lungi da me stata.
Ciò m’incende di certo la corina,
Grande amanza ché tu m’hai generata.

Rit.

Nel cor mio com’un grande vuot’io sento
Tal che quasi mi pare d’aver fame;
Un sol cibo fariami ’l cuor contento,
Vita: che tu sia mia, che tu mi ame.

Rit.

T’amo, cara, e t’amo da gran tempo:
Questo dicoti e questo ti dichiaro.
Tanto t’amo inver, che in ogni tempo,
La mia mente tu hai, tesoro caro.

Rit.

Mane e mezzodì devo pensarti,
Sera e notte anco ser in tal pensiero,
E per quanto mi sforzi di bloccarti,
Nulla ottengo, ché tuo io sono invero.

Rit.

Quando mai smetterò d’averti in testa?
Quando mai smetterò di sospirare?
Mai, io credo, ché m’havi ’n tua podesta,
E a te sempre mia mente faci andare.

Rit.

Quand’io vedoti, io vorrei baciarti,
Forse questo s’è troppo grande un dono:
Dunque fora contento d’abbracciarti,
No ’l richeggio, ché timido io sono.

Rit.

Michel Gorini or ti canta, che ti ama
Sí che sempr’a te pensa, ogni momento,
E ad amarlo invitati e ti chiama,
Ché glien fora inver gran dilettamento.

Rit.
Nỹn ą́sō philíēs ĕmēn aoidḗn,
Õ moy Chrí, hót' ĕgṑ tĕŏ́s gĕ́ eimi.
Zà philían dĕ́ĕ nỹn, dĕ́ō sĕ, hēmãs,
Kaì chaírein pálin, õ, t' ĕmŏn pŏeĩ kẽr.

Ĕpǭdŏ́s
Gĕla th', hḗliĕ́ moý, moi dŏ́s tĕ phõta
Aph' hõn moy bíŏs ĕsti nỳx tálaina:
Sỳ moýnē dýnasai gàr ĕrgásasthai
Taỹt' ḕn sḕn philíēn moi ĕstraphẽai.

'peì aieí soy áney tálas gĕ́ eimi,
Kai̛eí moy bíos ĕsti nỳx áphōtos.
Aieì kaì synechõs ĕ́chō sĕ ĕn nǫ̃,
Hōs kẽr pãn tŏ́ gĕ́ moy sỳ eĩ, phílē moy.

Ĕpǭdŏ́s

Christínē, ny tĕ́lŏs, phílē, skŏpõ sĕ,
Hoýt' ĕpeì sỳ makròn makrḗn m' apẽstha;
Háptĕtai ny ĕmŏ̀n tŏ̀ kẽr gĕ dḗpoy
Ĕpeí moi philíēn makrḕn pĕ́phykas.

Ĕpǭdŏ́s

Kardíą ĕn ĕmę̃ makrŏ̀n ginṓskṓ
Eĩnai, oydĕ̀n ĕ́chŏn, kaì pollà peinõn;
Ĕsthíein dýnamís th' hĕnŏ̀s dĕ̀ moýnoy
Ĕkplẽsai tŏ̀ makrŏ̀n: mĕ hōs philḗsais.

Ĕpǭdŏ́s

Philõ s', õ phíl' ĕmoỹ, chrŏ́nŏn tĕ makrŏ̀n
Phíloyn: toỹto lĕgō tĕ soì ka̛eídō.
Hõdĕpĕr philĕ́ō sĕ, hōs aeí gĕ
Ĕmŏ̀n noỹn sỳ ĕ́cheis, ĕmŏn thĕsaỹrŏn

Ĕpǭdŏ́s

Prǭ̀ ĕn nǫ̃ sĕ ĕ́chō, phílē gĕ 'deĩa,
Hēmĕ́rę̄ mĕ́s' ĕth', hĕspĕ́rę̄ tĕ nyktí t'.
Paýein kei̛ synĕchõs gĕ di͞apŏnõn sĕ,
Oydĕ̀n klērŏ́ŏmai d', ĕp' eimì sŏ́s gĕ.

Ĕpǭdŏ́s

Ĕn tǫ̃ nǫ̃ pŏ́tĕ oy, phílē, sĕ hĕ́xō,
Koy̛ stĕ́nein pŏ́tĕ soýnĕkĕn dynḗsō?
Nŏmíz' oýpŏtĕ, hōs ĕpikratę̃ moy,
Kei̛sbaínein sĕ aeì t' ĕmŏ̀n pŏeĩs noỹn.

Ĕpǭdŏ́s

Ei horõ sĕ, phílē, ky̆neĩn sĕ 'meírō,
Ísōs toỹtŏ líēn makr' ĕsti dōrẽ d'.
Eydaímōn pĕrilambánein sĕ eíēn,
Aitõ toỹto dĕ̀ oy: gár eimi deilŏ́s.

Ĕpǭdŏ́s

Mīchāēl Gorínis philõn sĕ ą́dei
Kaì ĕn nǫ̃ sĕ ĕ́chōn aeí, chrŏ́noy pãn.
Eis t' aytŏ̀n philĕ́ein kaleĩ sĕ nỹn gĕ,
Hōs aytǫ̃ megalṓtat' ĕstai tĕ́rpsis.

Ĕpǭdŏ́s



Or canterotti mia canzon d’Amor,
Poiché son tüo, cara mia Cristina.
Crea tra noi un vincolo d’Amor,
E fa ch’ancor s’allegri mia corina.

Rit.
Ridi, mio sol, e quella luce dammi
Senza cui trista nott’è vita mia;
Sola che puoi, deh, questa grazia fammi:
Di me fa’ ciò che ’l cuore tuo disìa.

Ché sempre mesto senza te mi sento,
E sempre color fosco ha vita mia.
A te io penso sempre, ogni momento,
Certo son che ’l mio cor tutto tu sia.

Rit.

Ed oggi alfin rivedo te, Cristina,
Poi sei sì a lungo lungi da me stata.
Incenderammi certo la corina,
Ché tu m’hai grand’amanza generata.

Rit.

Nel core mio com’un gran vuot’i’ sento
Tal che mi pare quasi d’aver fame;
E ’l cibo ch’il cuor mi faria contento,
O cara vita mia, è che tu m’ame.

Rit.

T’amo, mia cara, e t’amo da gran tempo:
Questo ti dico, questo ti dichiaro.
Sì t’amo inver, che sempre, in ogni tempo,
La mente mia tu hai, tesoro caro.

Rit.

Mattina e mezzodì devo pensarti,
E sera e notte sono in tal pensiero,
E per quanto mi sforzi di bloccarti,
I' nulla ottengo, ché son tuo invero.

Rit.

Quando mai smetterò d’averti in testa?
Quando mai smetterò di sospirare?
Mai, io credo, ché m’havi ’n tua podesta,
E a te sempre mia mente faci andare.

Rit.

Quand’io ti vedo, i’ vorrei baciarti,
Ma forse questo troppo grand’è un dono:
Contento dunque fora d’abbracciarti,
Ma no ’l richeggio, ché timido sono.

Rit.

Michel Gorini canta, che ti ama
Sí che sempr’a te pensa, ogni momento,
Ed ad amarlo invitati e ti chiama,
Ch’a lui ne fora gran dilettamento.

Rit.

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